In un momento particolare come questo, in cui la società ci chiede distanziamento per proteggere noi stessi e gli altri, in cui ci siamo trovati a modificare le nostre abitudini, la montagna può essere d’aiuto per chi è alla ricerca di un po’ di tranquillità interiore. 

La montagna può farti compagnia e non farti mai sentire solo.” 

Basta alzare gli occhi e ci troviamo ad osservare il confine tra il cielo e la linea irregolare delle vette. Le montagne sono sempre rimaste lì, immobili, ad osservarci e controllarci, come se sapessero che dobbiamo fermarci a riflettere a un certo punto della nostra vita.

Per il mondo delle dipendenze, dopo tanti anni di vita difficile e sregolata, arriva un momento in cui si sente il bisogno di prendere una nuova direzione, cambiare strada, cambiare vita.

La montagna è un ambiente particolare, che parla attraverso l’enormità di silenzio che la circonda. Il suo silenzio detta i ritmi, che non sono quelli a cui noi siamo abituati. La montagna ci chiede tempo per fermarci, per riflettere e per entrare in contatto con noi stessi.

In questi termini, decidere di intraprendere un sentiero in montagna, significa aprirsi al mondo e vivere attraverso il corpo. Impegnarsi in prima persona e faticare con le proprie gambe per riconciliarsi con la vita. Questa richiesta può essere il punto di partenza per cambiare atteggiamento verso la vita, mettersi in gioco per riappropriarsi della propria vita e della propria libertà, un cammino lungo e impegnativo, come un sentiero in montagna, per arrivare alla vetta e vincere la propria battaglia.

Perché scegliamo di andare in montagna?

Perché la montagna cura, ma è molto di più di una semplice terapia”.

(Calzolari, 2017) 

Lo scenario alpino richiede molto requisiti: la scelta scrupolosa dell’itinerario, analizzare fattori di rischio ambientali e personali, darsi delle tappe e delle scadenze, saper riconoscere sulla mappa dei rifugi nel caso di imprevisti, porsi degli obiettivi da raggiungere.

Non si va in montagna solo per conquistare la vetta. Quest’ultima è solo una piccola conquista, se consideriamo il sentiero insidioso e difficoltoso che bisogna affrontare.

Scegliamo di andare in montagna per sfidare noi stessi, capire i nostri limiti, trovare strategie nuove per superarli, oltrepassare la nostra comfort zone, per cambiare prospettiva.

Camminare con altre persone, dormire in un rifugio senza i normali comfort a cui siamo abituati, condividere esperienze, emozioni, difficoltà, cancella ogni differenza e crea legami indissolubili.

E poi il raggiungimento della vetta tanto sognata, rappresenta un momento condiviso  pieno di soddisfazione ed emozione, in cui possiamo urlare al mondo che ce l’abbiamo fatta, urlare a noi stessi che abbiamo vinto la nostra battaglia. 

La montagna: un contesto protetto

La montagna quindi crea il contesto perfetto per abbattere i pregiudizi e le differenze. 

Tutti siamo uguali in montagna, perché tutti condividiamo la stessa fatica, il freddo, la fame e la sete”.

(Paolo di Benedetto, psicologo dell’Asl di Rieti e coordinatore della mountain therapy nel centro Italia).

Da questo principio si inizia a parlare di “montagna che aiuta a vivere e che cura” e agli inizi degli anni ‘90, con operatori sanitari, guide alpine e giornalisti specializzati nasce il concetto di “Montagnaterapia”.

Da anni si considera sempre di più il rapporto tra natura e benessere e i termini come “raggiungere la cima” o “scalare una montagna” sono espressioni, che si riferiscono alle montagne e che rappresentano il successo, la determinazione e il raggiungimento di un obiettivo più o meno facile. Il camminare su un sentiero in salita diventa uno strumento di empowerment che aiuta il soggetto a consolidare le proprie risorse e superare le proprie fragilità.

Uno strumento per sviluppare auto-consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità.

In montagna i rischi sono tanti, e si possono amplificare senza preavviso, una tempesta, fulmini, grandine, vento. La montagna non ci regala nulla e ci sfida ogni secondo per metterci in crisi e per renderci più forti. 

In senso metaforico, è ciò che succede quando una persona decide di prendere in mano la propria vita e chiede aiuto. Per far sì che il progetto funzioni, per riuscire a conquistare la vetta, deve essere disposto a smantellare tutti i suoi ideali e deve accettare la possibilità di trovarsi perduto, nel bel mezzo di una bufera, per poi ritrovarsi per sempre.

Affrontare le proprie sfide

In comunità, di “sentieri in salita” se ne affrontano ogni giorno e dopo un po’ possono diventare pesanti e ripetitivi.

È per questo che nasce l’idea di progettare le uscite in montagna come strumento educativo, per creare l’evento eccezionale, che modifica i ritmi comunitari e che stravolge le abitudini e le relazioni, perché come detto in precedenza, in montagna tutti siamo uguali e l’aiuto reciproco in caso di bisogno vige da principio fondamentale.

La scelta di fare Montagnaterapia nasce da una consapevolezza che ognuno di noi nella vita deve affrontare delle sfide, dei “ propri passaggi chiave”, che sono anche i tratti più impegnativi da affrontare sulla montagna per continuare il cammino, sono sfide che vanno condivise con i propri compagni di avventura.

Ognuno si trova a sostenere lungo il cammino di cura dei simbolici “passaggi chiave” nel tentativo di superare le difficoltà e la montagna diventa un contesto protetto in cui ci si può sperimentare, si può cadere, rialzarsi, cambiare sentiero, sempre al fianco dei compagni di viaggio e di vita.

L’uomo in cima alla montagna non c’è mica caduto sopra.”

(Vincent Lombardi)

 

Emily Bellini 

 

Nata a Mori nel 1995, si è diplomata nel 2014 al Liceo Scientifico tecnologico “ITI Marconi” di Rovereto. Ha poi conseguito la laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica nel novembre del 2017 presso l’Università di Verona. 

Da marzo 2018 è parte integrante dell’equipe della Comunità Casa di Giano. 

Fin da piccola l’attività sportiva ha fatto parte della sua vita e negli ultimi anni si è dedicata sempre di più al mondo della montagna.

 

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