Intervista a Lucia Bortolamedi Saltori, fondatrice del “Centro Trentino di Solidarietà” e dell’Associazione Famiglie “Progetto Uomo”.
Buongiorno, Lucia. grazie per essere con noi oggi., in diretta da Milano.
Potresti raccontarci cosa vi ha spinto a fondare il “Centro Trentino di Solidarietà”?
Buon giorno a te!
Cosa ci ha spinti?
La disperazione, la necessità e la speranza di aiutare i nostri figli ad uscire da quella spirale tremenda in cui si erano messi.
Prima però devo fare un piccolo racconto di come era la situazione allora, quarant’anni fa, anzi di più perché il problema droga cominciò ad esistere negli anni settanta. Proprio allora ci fu il primo morto per overdose. Un ragazzo giovanissimo. Noi genitori non sapevamo cosa fare. Il primo a cominciare ad interessarsi è stato il dott. Valerio Costa che mise in piedi un centro in aiuto. La dott.ssa Francesca Ferrari diede vita con dei genitori ad una Associazione Famiglie, sempre di aiuto a chi non sapeva come gestire questo tremendo problema. Ed è lì che conobbi don Antonio Busacca che anche lui diede vita ad una Associazione di ascolto “Voce Amica”. Però non c’era nulla di concreto. Nel 1978 per volontà del dott. Costa nacque la Comunità di Camparta. La prima comunità pubblica in Italia.
Ma non bastava!
Il disagio era sempre più visibile e cominciava ad essere incontrollabile.
Don Antonio allora con alcune persone sensibili al problema, andò a Roma da don Mario Picchi che aveva avviato un programma chiamato “Progetto Uomo”. Così ritornò a Trento con queste informazioni che potevano servire al caso nostro. Si fece lasciare libero dall’impegno della parrocchia dal Vescovo per poter occuparsi a tempo pieno di questa piaga che ormai aveva coinvolto tanti giovani e le loro famiglie. Si diede da fare come non mai, lo chiamavano il “Bulldozer” perché non si fermava davanti a niente. Coinvolse parecchie persone, volontari e giovani che volevano mettersi al servizio di questa causa e dopo molto impegno nacque il Centro Trentino di Solidarietà che adottò il Programma “Progetto Uomo”. Questo progetto si basava sul valore dato all’uomo come persona con i suoi difetti ed i suoi pregi.
La strada è stata faticosa ma ha avuto i suoi frutti.
Io lo posso assicurare perché c’ero e ho assistito a dei veri miracoli d’amore e di sacrificio anche da chi ha intrapreso la strada dell’operatore.
Per me don Antonio dovrebbe essere santificato per la forza che ha avuto, perché ha creduto alla vita di questi giovani che si erano perduti ma poi ritrovati.
Qual è la missione principale del Centro Trentino di Solidarietà”?
La missione principale del Centro Trentino di Solidarietà per me è di accogliere e cercare di mettere la persona con problemi, in condizione di capire che le dipendenze, qualunque esse siano, portano solo alla distruzione della personalità e, qualunque ne sia la causa, cercare di capire che la vita è preziosa così come la dignità della persona. Risvegliare in loro l’amore per la vita e per tutte le cose belle che ci può dare.
Quali sono le sfide più grandi che avete affrontato?
Le sfide sono state tante.
Prima di tutto formare gli operatori e trovare una sede e una casa per una eventuale comunità.
Tutto questo all’inizio è stato fatto solo da volontari e da tante persone che credevano in questo Progetto, cito a questo proposito il Movimento Cursillos di Cristianità di Trento, e diverse persone a me care di cui non posso fare i nomi per paura di dimenticarne qualcuno. Queste persone si sono adoperate per farci avere il contributo della Provincia, e così si cominciò a respirare. C’erano i soldi per pagare gli operatori, che i primi tempi hanno lavorato quasi gratis.
Il contributo dei volontari è continuato ad esserci e a questo si è aggiunto il lavoro dei familiari. Questi hanno fondato trentacinque anni fa l’Associazione famiglie di “Progetto Uomo”, di supporto operativo al Centro. Queste mamme, questi papà hanno resistito a lungo per accompagnare il cammino di questa opera meravigliosa.
Un’ultima domanda: cosa ti motiva ogni giorno a continuare nel sostegno di questo Centro, nonostante la distanza fisica, visto che da qualche tempo ti sei trasferita a Milano?
A questa domanda posso rispondere: riconoscenza, amore per il programma di Progetto Uomo. Ho voglia di vedere che questo lavoro finché c’è emergenza possa durare.
Io purtroppo alla mia veneranda età, sono nelle retrovie. Chi combatte in trincea sono altri, più giovani.
Io ho dato tanto al Centro Trentino di solidarietà ma ho anche ricevuto tanto, perciò finché vivo il Centro Trentino di Solidarietà e l’Associazione Famiglie sono la mia seconda famiglia.
I ragazzi, soprattutto, che adesso sono uomini e donne maturi, li ho tutti nel cuore.
Grazie mille, Lucia, per aver condiviso la tua storia e il tuo impegno con noi.
Ti auguriamo il meglio per il futuro.
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