La situazione in Italia legata alle droghe è sempre più drammatica e, nonostante sia un fenomeno in costante aumento, la risonanza che ha nel dibattito pubblico risulta sempre meno rilevante.
È cambiato l’atteggiamento sociale, trasformato in una silenziosa tolleranza dell’ormai “ne fanno uso tutti”. Le statistiche recenti rivelano un trend in continuo aumento, soprattutto tra i giovani. Il consumo di sostanze, seppur percepito dai giovani come un marker di successo e identitario, minaccia il loro benessere psico-fisico e alimenta il ciclo della criminalità e del degrado urbano.
Del fenomeno delle dipendenze come drammatica realtà che colpisce “democraticamente” tutte le categorie sociali se ne parla da troppi anni. Questa emergenza sociale non è frutto del caso ma è il risultato dell’assenza di politiche antidroga serie e puntuali: dal 2011 non si ha un fondo nazionale di lotta alla droga e da anni non si ha una conferenza seria, che per legge dovrebbe essere celebrata ogni tre anni.
I fattori di rischio sono connaturati alla stessa società adulta, che noi abbiamo costruito intorno ai ragazzi, con la trasmissione di messaggi poco chiari e ambigui. La rappresentazione delle droghe nei media e nella cultura popolare può avere un impatto sulla percezione del loro uso e sulla decisione di sperimentarle. A livello mediatico sembra quasi che il problema non esista più: non si parla di droga, di problemi correlati alle dipendenze e nemmeno di morti per overdose, come se il problema non sussistesse più.
La normalizzazione del consumo di droghe in alcuni ambienti culturali e sociali può portare a un aumento del loro uso e abuso al punto tale che per le persone (in Italia si stimano almeno quattro milioni) è un comportamento usuale e abituale.
Lo stesso mercato delle sostanze ha le regole di qualsiasi altro mercato: si adegua facilmente e con estrema velocità alle esigenze dei consumatori e alle richieste del momento.
Ma allora quale risposta si può ancora dare?
L’esperienza ha insegnato che le risposte centrate sulla sostanza e sulla tradizionale “lotta alla droga” e spesso “lotta ai drogati”, è stata un fallimento su tutti i fronti.
La complessità dei giorni che stiamo vivendo però non può essere una scusa per cercare semplificazioni che allontanano dalla persona. Bisognerebbe piuttosto investire sulle relazioni, creare occasioni di incontro, percorrere nuove strade per costruire nuovi ponti, cercando di dare in modo congiunto e coordinato delle risposte ai bisogni emergenti.
Occorre tornare a investire sul welfare socio-educativo e socio-sanitario e rilanciare i servizi puntando sulla prevenzione nelle scuole sempre più disorientate e sul dialogo con i giovani e con le loro famiglie sempre più sole e sempre più allarmate.
Dobbiamo ritrovare il senso del nostro agire e uscire dalla logica entropica dell’efficienza e della velocità, mettendo al centro la persona, altrimenti diventiamo ingranaggi di un percorso che in qualche modo sta rendendo sempre più sterile l’azione sia in ambito sanitario che in ambito sociale.
Senza una visione lungimirante veniamo schiacciati dal fare, dall’emergenza, senza dare risposte concrete ma agendo e tamponando il problema senza una logica di sistema.
La strada per trovare risposte è però e piena di ostacoli. La sfida richiede un impegno collettivo e coordinato da parte di tutti i settori della società, inclusi il governo, le organizzazioni non profit, il settore privato e la comunità in generale che deve includere in primis le famiglie e il sistema educativo. Solo attraverso un’azione congiunta e coordinata sarà possibile contrastare efficacemente l’emergenza droga e proteggere le future generazioni da questo flagello.
Viviamo in un sistema sanitario e sociale costruito su due elementi: la tipizzazione delle prestazioni da un lato e la categorizzazione dei problemi dall’altro. Fare sanità in Italia è come entrare in un supermercato e cercare tra gli scaffali la prestazione corretta. Dove è la centralità della persona in questo sistema?
Orientarsi all’interno di questa complessità significa avere il coraggio di ragionare in termini di integrazione territoriale. Fino a quando non rientreremo nella logica di una presa in carico comunitaria, che garantisca l’integrazione socio-sanitaria e la governance dipartimentale dei percorsi noi non riusciremo ad affrontare la complessità come quella che riguarda l’ambito delle dipendenze. Non esiste un sistema di intervento contro le dipendenze. Esistono diversi soggetti e ognuno fa il suo pezzettino, spacchettando in questo modo le persone.
Un percorso che dobbiamo provare a seguire è quello che ci consente di passare dalla centralità della persona alla centralità dell’io relazionale. Questo ci permette di pensare alla persona come un qualcosa che è in continua trasformazione.
Solo attraverso la relazione in quanto tale che si ha la possibilità di costruire un reale cambiamento, garantendo così esigibilità di diritti, di cura, di risorse. Fino a quando non comprenderemo che le politiche sociali e sanitarie non sono costi ma investimenti, sarà difficile se non impossibile inquadrare il problema con tutte le complessità e capire come orientarsi e agire.

Antonio Simula

 

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